venerdì 20 novembre 2009

"NU BARONE SOLACHIANIELLO" ovvero "lu curaggio de nu pompiere napulitano"


I giovani attori della Compagnia teatrale “Giovani alla Ribalta” di Sant’Andrea, guidati dalla maestria e dalla passione di Suor Ubaldina di Monaco, presentano Sabato 28 Novembre prossimo venturo, alle ore 18,30, presso la Sala Teatro “Don Donato Giannotti” dell’Istituto “Coniugi Di Monaco” di Sant’Andrea, la Commedia in due atti “Nu barone Solachianiello", ovvero “Lu curaggio de nu pompiere napulitano”.
Trattasi di una commedia scritta e rappresentata per la prima volta da Eduardo Scarpetta nel 1877. L'opera è stata successivamente ampiamente riadattata da Eduardo De Filippo. Questi, nel testo intitolato “Eduardo De Filippo presenta Quattro commedie di Eduardo e Vincenzo Scarpetta” (1974), di cui curò la redazione, scrisse di voler presentare la carriera di drammaturgo di Eduardo Scarpetta attraverso le sue commedie più significative delle quali “Lu curaggio de nu pompiere napulitano” rappresentò il momento dell'esordio, “Li nepute de lu sinneco” il periodo più maturo artisticamente, che raggiungerà la punta più alta con “Na santarella”. Dopo il ritiro dalle scene di Eduardo Scarpetta, la sua opera fu ben proseguita dal figlio Vincenzo Scarpetta che con la quarta commedia “ 'O tuono 'e marzo” ben s'inserisce nell'eredità scarpettiana.
Nella Commedia “Lu curaggio de nu pompiere napulitano” , il personaggio di Pulcinella, attore principale in molte farse, qui diventa secondario nel ruolo di servitore, mentre compare un nuovo protagonista, generato dalla fertile vena comica di Scarpetta: Felice Sciosciammocca, povero giovane angariato dai suoi padroni.
Trama
Il barone Andrea quand'era un povero guardaporte (portiere), tirava a campare esercitando anche il mestiere di solachianiello (ciabattino). Ebbe la ventura di salvare coraggiosamente, dai ladri entrati in casa, un milord inglese che per riconoscenza lo aveva portato con lui in Inghilterra e lo aveva lasciato erede universale dopo la sua morte. Con il denaro ereditato Andrea comprò un titolo di barone ed ora vive, dandosi arie di nobiltà, in un lussuoso palazzo napoletano. Nonostante egli cerchi di parlare un colto italiano, inframmezzato da parole inglesi, è rimasto quello che era, ma vuole apparire quello che non è circondandosi di nobili e tenendo lontani dalla sua casa i parenti plebei della moglie Ceccia, una ex lavannara (lavandaia). Il barone può permettersi anche di avere dei servi al suo servizio tra cui il pestifero Pulcinella che una ne fa e cento ne pensa: la commedia è infatti punteggiata da forti rumori, fuori scena di bicchieri, tazze e altri oggetti che si rompono… Felice Sciosciammoca, povero maestro di calligrafia innamorato e ricambiato a sua volta dalla figliastra della baronessa Virginia, entra in scena, all'inizio del secondo atto, abbigliato e truccato secondo la sua maschera, divenendo subito oggetto della derisione di Pulcinella. Il barone vuole imparentarsi con nobili di alto lignaggio e quindi ha deciso di fare sposare Virginia al marchesino Alberto figlio della marchesa Zeppola. Felice viene a sapere da Pulcinella del matrimonio tra i due ragazzi,quindi decide di affrontare Virginia e gli ospiti, e lo fa con giri di parole allusive ed enigmatiche. Nel frattempo la marchesa, invaghitasi di Felice, convince il barone ad ospitarlo a palazzo. Dopo alcune “chiacchere” tra le due famiglie la situazione si complica quando scoppia un incendio, causato dal solito Pulcinella che fa di tutto per rovinare il suo padrone. L'incendio viene domato da Michele, coraggioso pompiere, in visita alla sorella Ceccia, moglie di Andrea. Successivamente il barone Andrea casualmente scoprirà che Felice è il figlio della sua prima moglie che morì lasciandolo con un figlio di due anni, Peppeniello (Felice) e che i nobili della famiglia Zeppola in realtà sono dei poveri saltimbanchi. Felice ora potrà sposare Virginia e il barone organizzerà per l'occasione grandi festeggiamenti che si concluderanno «con una grande lotteria a premio sicuro per tutti i solachianelli di Napoli!».