sabato 19 ottobre 2013

Una parola definitiva sulla gestione dei rifiuti e l'impatto ambientale a S. Maria C.V.

Realizzazione di un digestore anaerobico su terreni confinanti con lo STIR di Santa Maria Capua Vetere

Per quanto riguarda il terreno su cui realizzare l’impianto, ancora una volta si cerca di far credere che la scelta è stata effettuata da altri e che purtroppo non è stato possibile  modificare la localizzazione del sito ma nello stesso tempo si dice anche che  al digestore anaerobico si aggiungeranno altri impianti sul territorio provinciale. Ci si domanda: come è possibile elaborare un piano provinciale se sussiste una gran confusione su chi ha la competenza e su cosa? Ad esempio l’impianto di San Tammaro per il trattamento della FORSU, non ancora funzionante, e che non si è ancora capito se funzionerà in condizioni aerobiche o anaerobiche, è al momento di competenza della Regione. La potenzialità dell’impianto è stata fissata in 40.000 t/anno,  in considerazione di quanto previsto dal Piano Regionale di gestione dei rifiuti  che prevedrebbe “un impianto di digestione anaerobica in San Tammaro da affiancare al preesistente impianto di compostaggio” . Se è così allora ce ne saranno 3 a distanza di pochi chilometri: due a san Tammaro e uno a S. Maria C.V. sufficienti a trattare praticamente l’umido di tutta la Provincia? Ancora una volta è necessario pretendere che venga definito in dettaglio tutto il piano provinciale.

La programmazione si basa sulla previsione di poter raccogliere in modo selezionato un massimo di circa 105.000 t/anno di frazione organica e ciò si considera sufficiente a giustificare l’impianto di digestione anaerobica che da una parte si  dice essere imposto dal quadro normativo e quindi non modificabile, e dall’altra si afferma di averne modificato le caratteristiche decidendo di abbassare la pontezialità dell’impianto da 75.000  a 40.000 t/a. I motivi che hanno portato alla riduzione della potenzialità dell’impianto vengono attribuiti alla incompatibilità con quanto evidenziato dallo studio di prefattibilità ambientale  e considerazioni sulla fattibilità economica in quanto il costo per l’installazione dell’impianto sarebbe stato eccessivamente alto”.  Ancora una volta i costi di realizzazione e di ammortamento sono gli unici parametri presi in considerazione nello studio di fattibilità.

Andando a leggere i vari documenti ufficiali prodotti dalla Provincia e dalla Regione, in più punti si afferma la necessità di più impianti di medie dimensioni (almeno per la provincia di Caserta) senza far riferimento ad un piano generale in cui sono compresi ed individuati le tipologie degli impianti, le quantità trattate, e  i siti in cui verranno realizzati.  In particolare viene affermato che il digestore affiancherà lo STIR, per il quale sono stati realizzati lavori di implementazione e di manutenzione straordinaria, che continuerà a funzionare.  Si continua sempre con il solito ritornello:  “con l’impianto di digestione anaerobica si diminuirà l’impatto ambientale causato dallo Stir perché diminuendo la quantità di organico putrescibile diminuirà la fonte di emissioni maleodoranti”.

Questa premessa equivale ad affermare che  lo Stir ha sempre determinato un impatto ambientale che ci sarà anche in futuro ma di minore entità.

I problemi connessi alle emissioni maleodoranti dello STIR si uniranno a quelli delle emissioni del digestore così da risultare ulteriormente concentrate a S. Maria CV.

Si afferma, a supporto di questa scelta, che l’intero processo  è ad emissione negativa di CO2.

Questa affermazione è errata e molto superficiale  perché volutamente non si tiene conto che il metano nel biogas prodotto verrà utilizzato come combustibile in situ e bruciato per produrre energia elettrica ed energia termica, ma il processo di combustione  del biogas emetterà CO2. Inoltre tale emissione aumenterà la quantità complessiva e la concentrazione di anidride carbonica emessa perché bisognerà aggiungere quella prodotta dai combustibili utilizzati dai mezzi di trasporto e quello che necessariamente bisognerà aggiungere per garantire il continuo funzionamento dei generatori. In aggiunta alla CO2 bisogna considerare anche agli altri gas (ad esempio ossidi di azoto) che vengono normalmente emessi da un qualunque motore a combustione e alle polveri sottili di cui il processo di combustione è sicuramente la fonte più pericolosa. Ancora bisogna correttamente tener presente che il biogas prodotto potrà contenere altre sostanze, normalmente non presenti nel metano usato nelle automobili, che non comprometteranno il funzionamento dei motori in cui brucerà il biogas prodotto dal digestore ma daranno luogo a reazioni che provocheranno le emissioni di  sostanze  non previste e su cui non si pone la necessaria attenzione.  Quindi non solo anidride carbonica e a tutte queste considerazioni bisogna aggiungere che sarebbe una fonte di inquinamento attiva continua per 24 ore di tutti i giorni e di tutti gli anni di funzionamento.

Non si capisce sulla base di quali considerazioni si esclude del tutto la presenza di diossine, IPA , acidi, dal momento che: a) il metano presente nel biogas prodotto non è puro (non è corretto parlare di metano dimenticandosi che si tratta sempre di una miscela); b) la combustione avviene prelevando aria dall’esterno, nelle immediate vicinanza dell’impianto in cui avvengono le fasi di trasformazione della frazione organica e quindi contenente quelle sostanze che non sono state eliminate dai processi di depurazione dell’aria; c) che probabilmente sarà utilizzata la stessa aria in uscita dall’impianto.  E’ opportuno ricordare che le suddette sostanze pericolose, seppure in piccolissime quantità, essendo persistenti e non facilmente degradabili si andranno ad accumulare nell’ambiente.

Non si capisce sulla base di quali considerazioni  viene affermato che i costi diminuiranno.

Per poter affermare tutto ciò si sarebbero dovuto riportare le valutazioni dei costi relativi ad una selezione efficiente dell’umido (porta a porta ad esempio?). Perché non è stato approfondito se questo tipo di raccolta è applicabile dovunque? Perché non sono stati presi esempi pratici presenti in Provincia per poter valutare i costi della raccolta?  Perché ci si pone come obiettivo principale il raggiungimento del massimo possibile della raccolta dell’umido selezionato? Non sarebbe preferibile iniziare con impianti più piccoli adeguati alla percentuale realizzabile a breve termine dal momento che l’impianto proposto non andrebbe a regime prima di 2-3 anni?

Nel Piano regionale gestione rifiuti della Campania viene confermata in modo categorico la necessità di ridurre i costi/tariffa e di lavorare ispirandosi al concetto di “conferimento differenziato” piuttosto che di raccolta differenziata.  Con il servizio di prossimità o porta a porta si è solo certi di offrire (non sarebbe più corretto dire “imporre”) un servizio molto costoso mentre è il cittadino che deve essere messo in condizione di poter conferire  il rifiuto selezionato presso centri di raccolta attrezzati, e deve ricevere anche incentivi economici.

Nella documentazione ufficiale mancano esempi reali e bibliografia recente. Vengono descritte, in modo più o meno approfondite, le varie soluzioni tecnologiche che possono essere adottate negli impianti di digestione anaerobica ma non viene presentato alcun  esempio di impianto simile funzionante in Europa o in Italia. Infatti sarebbe stato molto interessante conoscere  la mappa e le caratteristiche degli impianti che, almeno in Italia, oggi trattano la “FORSU” e le relative relazioni delle ARPA e le reazioni delle popolazioni locali.

Quando si confrontano lo scenario attuale e quello di progetto non si tiene conto che il prodotto ottenuto alla fine del processo quasi sicuramente non potrà essere utilizzato come compost in agricoltura. Infatti la qualità della frazione umida raccolta in modo differenziato non sarà adeguata  agli standard previsti da un tale utilizzo e quindi dovrà andare in discarica. Di questo se ne ha però piena consapevolezza, infatti, nella discussione degli aspetti economici non vengono previsti alcuni introiti per lo sfruttamento di questa frazione come compost. Purtroppo non è sufficiente considerare il mancato guadagno ma è necessario  invece considerare il costo aggiuntivo dello smaltimento in discarica.

Si ripropongono le stesse rassicurazioni a suo tempo proposte prima della realizzazione dell’impianto CDR e che poi sono state puntualmente disattese: corretta progettazione e gestione considerati garanti dell’assenza di emissioni in ambiente; frazione solida (frazione organica stabilizzata ottenuta alla fine del ciclo di lavorazione (Compost/FOS ) è una frazione stabile ed inerte che non arreca alcun danno e/o fastidio.

Le carenze ed omissioni più gravi si riscontrano nello studio di prefattibilità ambientale.  Considerato che:

a)      si afferma, direttamente ed indirettamente, in più punti nella relazione che l’impianto (in funzione da più di 10 anni) non era stato gestito correttamente;

b)      che in occasione di pubblico dibattito (Consiglio Comunale aperto 12 /10/2013 presso il teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere) da parte dei responsabili  della GISEC che gestisce lo STIR per conto della Provincia, è stato confermato che si è dovuto intervenire sull’impianto per ridurre l’impatto ambientale;

c)      Che nell’area in questione erano già stati costruiti impianti per il trattamento dei rifiuti solidi urbani ed in particolare della frazione organica: i) impianto con fosse per ospitare rifiuti da trattare di cui non è chiaro se abbia mai funzionato ufficialmente ma sicuramente è stato utilizzato per deposito di RSU durante uno dei primi casi di emergenza;  ii) successivamente fu costruito su terreni adiacenti un impianto di selezione e compostaggio; l’impianto fu consegnato al consorzio CE/2 con atto 19/06/1996 ed avviato nel 2008 senza i necessari presidi ambientali;

d)     Che nella stessa area vi è una conceria che in seguito alle proteste crescenti dei cittadini ha smesso la sua attività da alcuni anni e che non è stata mai completata l’analisi dello stato dei terreni e della falda in quella zona né è stata mai avviata la fase di bonifica dei siti interessati dalla lavorazione;

e)      Che da alcune analisi chimiche effettuate su alcuni pozzi del territorio comunale su cui sarà ubicato il digestore risultano già compromesse le falde acquifere da inquinanti organici ed inorganici.

Se a queste considerazioni si aggiungono le allarmanti dichiarazione di personaggi di spicco della camorra, secondo le quali gli impianti per il trattamento dei rifiuti in località Spartimento sono stati interessati da traffici di rifiuti tossici e nocivi, non è concepibile che si presenti una relazione sulla studio di fattibilità senza riportare alcun dato sulle problematiche sopra menzionate. Quale validità può avere una relazione in cui non viene assolutamente preso in considerazione la necessità od opportunità di inserire nello studio di prefattibilità ambientale un tale tipo di approfondimento: aspetto fondamentale per la salvaguardia della salute delle persone e fondamentale per avere credibilità.

Verrebbe da dire che si sta riscontrando, sulla questione digestore anaerobico, ne più e ne meno la stessa superficialità ed arroganza già riscontrata in passato. Si considera il funzionamento degli impianti in condizioni di “depressione” (aspirazione continua di aria) come la panacea di tutti i mali ma si dimentica che il processo anaerobico, stadio caratterizzante dell’intero processo, deve avvenire in assenza di ossigeno e produce sostanze gassose.

Emerge in modo chiaro ed evidente, dalla lettura della elencazione teorica adattabile a qualunque tipologia di impianto, quanto sia più complesso il problema della sicurezza e della salvaguardia ambientale nel caso del digestore anaerobico in confronto ad un impianto di digestione aerobica (compostaggio).

La produzione di biogas e la gestione del processo in condizioni ottimali è molto sensibile alla qualità della frazione organica selezionata ed in particolare del controllo delle condizioni  di esercizio.  A tutto ciò si deve sempre aggiungere che l’impianto funziona per produrre metano che è un gas infiammable e le misure di sicurezza adottate devono tener conto anche di questo aspetto non marginale.

La tabella con il bilancio di massa, che viene solitamente riportata nella documentazione, riporta la quantità di biogas secco senza considerare la percentuale del metano in essa contenuta.  Proviamo ad approfondire la questione con semplici ragionamenti:

a)      La produzione di metano durante il processo di digestione non è costante ma subisce delle variazioni che come detto prima dipendono dalla qualità della frazione introdotta, dalle condizioni operative ma anche dal tempo di permanenza nei reattori;

b)      Poiché la fase di digestione anaerobica, che è quella che produce un reddito è anche quella più costosa, l’impianto sarà tarato in modo da sfruttare solo la fase più remunerativa ponendo in secondo piano quelle considerazioni ambientali che erano state addotte per giustificare tale scelta. Il digestato sarà spostato nella fase finale di stabilizzazione aerobica quando calerà la produzione di metano a livelli non economicamente vantaggiosi, in questo modo la maggior parte della CO2 sarà comunque liberata nell’ambiente nella fase aerobica: da 40.000 t/anno alimentate si passa a 29.090  t/anno in uscita dal digestore anaerobico con una diminuzione della massa del 27/%, all’uscita  della seconda fase aerobica (fine dell’intero processo) il compost/FOS è 17.227 t/anno con una diminuzione del 41 % rispetto al digestato e del 57% rispetto alla massa iniziale. Come si vede la trasformazione più consistente si ha nella fase in cui si libera CO2 nell’ambiente.

c)      Sulla base di quanto detto in a) e b) la quantità di CO2 non liberata nell’ambiente nel processo anaerobico in cui si sequestra il carbonio sottoforma di metano è piccola;

d)     Prendendo in considerazione la quantità di biogas prodotta e utilizzando una percentuale media di metano prevista pari al 65 % risulta essere  3650 t/anno o 10 t/giorno (10.000 Kg/giorno); sappiamo che il metano per automobili costa ai distributori poco meno di 1 € e, volendo approssimare per forte eccesso (per ottenere metano puro dal biogas bisognerebbe sottoporlo a processi di depurazione i cui costi sarebbero superiori al valore di mercato del metano per auto), si avrebbe un prodotto del valore di 10.000 €/giorno che difficlmente riuscirebbe a coprire i costi di esercizio e di ammortamento.

Domanda: “Chi pagherà il conto?”  Risposta: “NOI contribuentI!”

In conclusione si esprime netta opposizione alla realizzazione dell’impianto per i seguenti motivi:

1)      La costruzione dell’impianto prevede costi eccessivi come alti sono anche i costi della gestione ordinaria senza un reale guadagno da un punto di vista dell’impatto ambientale e dei costi che ricadranno sui cittadini. Non ci saranno diminuzioni di emissioni di CO2 in loco e di altre sostanze prodotte dai processi di combustione, non diminuirà la frazione organica stabilizzata che andrà in discarica ed è reale il rischio di emissioni di sostanze maleodoranti e/o tossiche durante il processo di trasformazione e della combustione del biogas prodotto. Se si volesse realmente risolvere il problema dal punto di vista della salvaguardia della salute, della salvaguardia dell’ambiente e dei costi da sostenere si dovrebbe: a) evitare impianti in cui si trattano grandi quantità ed evitare che gli stessi siano localizzati nelle stesse zone; b) costruire impianti medio piccoli distribuiti sul territorio provinciale con sicura diminuzione dei costi e dell’impatto ambientale; c) per compensare le emissioni di CO2 emesse dagli impianti di digestione della frazione organica è sicuramente più corretto riferirsi ad impianti che sfruttano le vere fonti rinnovabili:  impianti di pannelli fotovoltaici o pale eoliche. Si propone di sfruttare l’energia solare montando i pannelli fotovoltaici sulle coperture di capannoni e dei piazzali degli impianti, su tutti i suoli interessati dal ciclo integrato dei rifiuti, sui suoli il cui utilizzo in agricoltura è stato compromesso ma che comunque dovranno essere messi in sicurezza.

2)      Si impone un metodo di raccolta differenziata centralizzata molto costosa con l’obiettivo di raggiungere la raccolta di circa il 90% del della frazione organica prodotta in Provincia senza considerare l’aumento dei costi che ricadranno sui cittadini. I 3 anni teorici previsti per i tempi di realizzazione sono lunghi,  non rispondenti alle reali esigenze emergenziali, e non inseriti in un piano chiaro e definito.

3)      Non sono mai stati effettuati controlli continui sulle emissioni gassose dell’impianto CDR/STIR e sulla loro dispersione nell’ambiente. I cittadini, a distanza di più di dieci anni, stanno ancora aspettando la realizzazione della rete di monitoraggio con centraline fisse previsti dal Piano Regionale sui territori dei comuni che ospitavano gli impianti CDR.

4)      Nonostante le forti ed evidenti problematiche ambientali con evidenti ed accertate compromissioni della falda acquifera, delle continue compromissioni della qualità dell’aria per sostanze maleodoranti e spesso tossiche quando sprigionate dai roghi appiccati periodicamente ai rifiuti ammucchiati in discariche occasionali a cielo aperto, le allarmanti dichiarazione di personaggi di spicco della camorra, secondo le quali gli impianti per il trattamento dei rifiuti in località Spartimento sono stati interessati da traffici di rifiuti tossici e nocivi;

È molto preoccupante che si presenti una relazione sulla studio di fattibilità senza riportare alcun dato sulle problematiche sopra menzionate. Non è possibile che si continui a costruire impianti per il trattamento dei rifiuti  sempre nella stessa zona quando si dovrebbe sapere che la concentrazione di determinate sostanze è uno degli aspetti fondamentali per valutare la sua pericolosità. Bisogna affrontare i problemi mettendo al centro la salvaguardia della salute di tutti i cittadini e non di una parte a scapito di una minoranza. I benefici ed i disagi devono essere equamente distribuiti.

S. Maria C.V., 19/10/2023
Prof. Vincenzo De Felice


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